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Luca Speciani – Visite in presenza

Da molti anni svolgo attività medica e nutrizionale (oltre che medico chirurgo sono anche dottore in Scienze Agrarie) riguardante tutte le patologie interne croniche e/o metaboliche (tiroide, diabete, sovrappeso/obesità, squilibri endocrini, anoressia, problemi gastroenterici, menopausa, osteoporosi) e mi occupo con successo, attraverso il controllo dei sovraccarichi alimentari, di molte malattie allergiche e autoimmuni.
Seguo inoltre da molti anni problematiche legate alla medicina dello sport sia per avviare al movimento chi non lo pratichi, sia per migliorare le prestazioni di chi già sia sportivo praticante (sono stato in passato agonista di ottimo livello nel mezzofondo, per 10 anni medico responsabile della nazionale italiana maschile e femminile di ultramaratona, e ho seguito atleti di valore nazionale di diverse specialità: dal nuoto al ciclismo, dalla maratona al triathlon).
 
Come si svolge una mia visita in presenza:
 
Prima l’anamnesi
I modi frettolosi, l’ascolto distratto, i tempi brevi, l’ambiente rumoroso, non sono compatibili con un reale e profondo dialogo tra medico e paziente: l’unico che può portare alla comprensione di un messaggio che richiede un forte cambio nel proprio stile di vita è nelle proprie abitudini.
Nel bellissimo romanzo “Medicus” di Noah Gordon, ambientato intorno all’undicesimo secolo, il grande maestro persiano Ibn Sina insegna ai suoi studenti, ogni volta che si avvicinano al letto di un malato, dopo essersi presentati, a chiedere educatamente il permesso di poterlo curare. Forse un’esagerazione storica ma certo una grande lezione.
La prima fase della visita prevede innanzitutto l’ascolto del paziente.
È doveroso annotare i punti più importanti di quanto descritto dal paziente (che possono tornare utili in fase di revisione), ed è anche importante lasciar parlare il paziente, senza interromperlo troppo spesso se non per i necessari chiarimenti.
In questa fase, che rappresenta la cosiddetta anamnesi, acquisisco alcune informazioni preziose: le patologie pregresse o attuali sofferte dal paziente, i farmaci in uso, eventuali allergie, gli esami del sangue disponibili (altri ne chiederemo solo se necessari), la familiarità (malattie genetiche o predisposizioni). Indago le abitudini più comuni riguardo ad alimentazione, fumo, alcol, sonno, movimento fisico.
Sull’alimentazione occorre essere molto dettagliati, ricordando che i pazienti tendono spontaneamente a omettere gli “sgarri”, descrivendo invece pranzi ordinari con primo, secondo, contorno e frutta. Chi acquisti al supermercato le cassette di gelato, i superalcolici e le confezioni da 12 di bibite zuccherate resta un mistero. Entro dunque nel dettaglio, indagando anche sull’abitudine a idratarsi correttamente (il non bere è spesso causa di microcalcoli o renella) e sulle eventuali sensazioni di fame fuori dai pasti (segno sempre di insufficiente secrezione di leptina).
Terminata la lunga fase anamnestica (che per figure con comorbilità che assumono molti farmaci può durare anche più di un’ora) si passa alla visita vera e propria. Non è pensabile effettuare l’esame obiettivo senza prima aver completato una seria anamnesi.
 
L’esame obiettivo
Nella pratica medica si dice “esame obiettivo” quell’insieme di osservazioni basate sui cinque sensi che serve a inquadrare meglio il paziente sotto tutti i punti di vista.
Oggi questo esame è molto trascurato: la medicina ha tempi rapidi. Folle di mutuati aspettano il loro turno in sala d’attesa e si pensa spesso erroneamente che con un farmaco si risolva tutto. L’antica arte dell’esame obiettivo, invece, non andrebbe mai dimenticata. Prima di dedicarci a macchinari specifici o a esami strumentali (dal tester per la glicemia al rilevatore della pressione), dovremmo ricordarci di guardare, toccare, palpare, auscultare il paziente per raccogliere il maggior numero possibile di informazioni. Senza del tutto escludere neppure l’olfatto (che, raccontava mio padre, poteva consentire anche la diagnosi a distanza di un cancro al retto) o il gusto, usato dai medici dell’antichità per diagnosticre il diabete “mellito” (cioè mielato, dolce) attraverso l’assaggio diretto delle urine. Altri tempi, per fortuna.
Personalmente mi è capitato, dopo un’approfondita anamnesi, di rilevare tracce di operazioni subite dal paziente solo dopo averlo spogliato e fatto sdraiare sul lettino. Scoprendo magari un’operazione di asportazione della cistifellea (omessa per dimenticanza in corso di anamnesi) che da sola era in grado di spiegare la lentezza digestiva accusata dal paziente. Ma lo sguardo d’insieme rivela spesso una vasta gamma d’informazioni, ben prima di avere in mano gli esami del sangue. È la preziosa, semplice e dimenticata arte dell’osservare.
Profonde occhiaie, magari gonfie, rivelano problemi renali o anche presenza di parassiti intestinali. Il pallore segnala anemia, cioè carenza di ferro. Una pelle brufolosa segnala squilibri ormonali (naturali, come la pubertà o patologici come l’ovaio policistico) . Ma ancora più interessante è l’osservazione del corpo nel suo insieme. L’accumulo di grasso nelle zone “a basso consumo” come l’addome o il gibbo è tipico di chi abbia un eccesso di stress e quindi di cortisolo. La forma tipica, in questo caso, è quella della “Sindrome di Cushing”: gambettine sottili, ventre globoso, come una pera appoggiata su due stecchini. In pratica il corpo, sotto stress prolungato, accumula grasso dove non possa facilmente essere consumato.
Simile ma particolare è invece la struttura del resistente insulinico (o pre-diabetico): si parla di “moon face” (faccia tonda, lunare), di pappagorgia e ancora di ventre globoso.
L’ipotiroideo è spesso grasso e poco reattivo, con pochi e radi capelli, l’occhio un po’ stretto dall’adipe facciale. L’esatto opposto per l’ipertiroideo, che ha gli occhi fuori dalle orbite, è magro come un attaccapanni e ha le guance scavate.
Squilibri degli ormoni sessuali sono visibili in donne mascoline (irsutismo, acne, alopecia, seno minimale) o in uomini effeminati (glabri, spalle cadenti, seno ipertrofico), e altrettanto visibili sono i segni della denutrizione in anoressiche o in individui demuscolati per eccesso di attività, per diete ipocaloriche o per malattia.
All’arte del guardare segue l’arte del toccare. Con la palpazione il medico ottiene molte altre informazioni. L’addome viene solitamente diviso in “quadranti” ognuno dei quali, se dolorante, indica la potenziale sofferenza dell’organo sottostante. Si evidenziano così problemi gastrici o di reflusso, fegato dolente o ipertrofico, microcalcoli alla cistifellea (frequentissimi negli sportivi), ingombri fecali, infiammazioni coliche o pancreatiche. Qualche colpo sulla schiena (segno di Giordano) evidenzierà eventuali problemi renali, mentre la palpazione della tiroide potrà svelarne noduli o un’eventuale ipertrofia. Già che siamo sul collo può essere utile cercare eventuali linfonodi gonfi sottomandibolari, e utile è anche una palpazione di quelli inguinali, rivelatori di infezioni o infiammazioni nelle aree adiacenti. Il contatto con la pelle e con il grasso sottocutaneo rivela anche eventuali rigidità muscolari (segno di un organismo diffusamente infiammato), e la maggiore o minore produzione di calore da parte di addome, mani o piedi, ricordando che mani e piedi freddi sono un possibile segno di ipotiroidismo. Un corpo sudato in condizioni ordinarie è spesso segno di squilibri del sistema nervoso autonomo, o di forte emotività.
A vista, olfatto e tatto si aggiunge infine l’ascolto. Il battito cardiaco, auscultabile con il classico stetoscopio (ma anche toccando l’arteria radiale o l’aorta addominale) con due dita, ci racconta molte cose. Si possono rilevare aritmie, extrasistoli (battiti sovrannumerari), ma anche semplicemente bradicardia o tachicardia, talvolta correlate a specifiche patologie. Anche la voce del paziente, però (ferma, stentorea, roca, esitante, timorosa) può fornirci informazioni utili, magari anche solo per un profilo psicologico più accurato.
Una rilevazione della pressione arteriosa (che è però spesso disturbata dalla cosiddetta “sindrome da camice bianco” che ne innalza artificialmente i valori), un controllo della saturazione di ossigeno, un breve test con aghi per la funzionalità epatica, pancreatica e renale, qualche manovra di equilibrio neurologico e una rilevazione volante della glicemia possono completare ulteriormente il quadro se suggeriti dall’anamnesi.
L’utilizzo dei nostri sensi (gratuito e privo di effetti collaterali) ci consenta, anche nell’esame obiettivo generale, di inquadrare più correttamente il paziente che abbiamo davanti, potendo così elaborare strategie più efficaci di cura. Il binomio semplificante e riduttivo che collega esame del sangue e integrazione farmacologica non può più essere considerato un modo efficiente di affrontare i problemi del paziente, che dev’essere invece analizzato da un punto di vista metabolico, di composizione corporea, di storia clinica, di abitudini alimentari, di attitudine psicofisica e che dovrebbe anche essere più frequentemente “scannerizzato” dai nostri sensi con la vecchia solida pratica dell’esame obiettivo, di gran lunga più affidabile rispetto a qualche numeretto biochimico risultante dagli esami del sangue.
 
Il controllo della composizione corporea
Completato l’importantissimo esame obiettivo si passa al controllo della composizione corporea tramite bioimpedenziometria. Questo test, della durata di pochi minuti, è di grande utilità per chiunque si occupi, a qualunque titolo, di nutrizione. Non è infatti pensabile che ancora oggi ci si limiti, nel monitorare i cambiamenti di composizione corporea di un individuo, a metodi primitivi come il semplice controllo del peso o del BMI, magari con l’aiuto della misurazione delle circonferenze vita/fianchi/cosce o del vecchio plicometro (una pinza calibrata che cerca di misurare il grasso sottocute).
Con questi strumenti primitivi il nutrizionista rischia di perdere il dato reale di miglioramento della composizione corporea ottenuto con la dieta e il movimento, e può anche offrire al paziente, senza volerlo, informazioni errate. Mai come in questo campo è importante la precisione del dato biologico.
Quando un medico si trova ad analizzare per la prima volta la struttura fisica di un individuo, ha la necessità di quantificare con precisione la sua composizione corporea in termini di massa muscolare, massa grassa, idratazione. Questo controllo è particolarmente importante, e lo si ottiene tramite un esame detto bioimpedenziometria, che usa appunto l’impedenza per ottenere i dati biologici ricercati.
La prima cosa che va chiesta ad un bioimpedenziometro è che sia affidabile. Se infatti i dati sono dubbi, e variano in modo consistente tra una pesata e l’altra o in pesate vicine, è chiaro che non si può fare un uso professionale (semmai solo di orientamento casalingo) dei dati ottenuti.
Risulta particolarmente importante analizzare la composizione corporea ogniqualvolta ci si proponga un intervento alimentare correttivo su un qualunque individuo. Come giudicare infatti un calo di peso di 2 kg, o un analogo incremento, senza sapere che cosa si è perso e cosa invece guadagnato?
Credo che un gran numero di diete alla moda o commerciali, dal digiuno terapeutico o intermittente, fino alle assurde iperproteiche o chetogeniche, si scioglierebbero come neve al sole se un’affidabile bioimpedenziometria indicasse con chiarezza cosa si è perso e cosa guadagnato. Chi segue come unica strada per il dimagrimento la restrizione calorica, farà bene a controllare cosa succede alla massa muscolare di chi mette a dieta: può essere che scopra che i kg persi sono solo di prezioso muscolo, mentre il grasso è sempre lì, senza alcuna intenzione di andarsene.
 
Analisi dei valori bioimpedenziometrici
Finalmente, esperita la lunga fase di raccolta informazioni sul paziente con tutti gli strumenti a nostra disposizione, incomincia la fase delle spiegazioni, che dovrà essere ponderata in funzione delle esigenze del singolo paziente.
Vi sono tuttavia alcuni passi che è importante non trascurare, e di solito il primo che affronto è la spiegazione dei valori riscontrati alla bioimpedenziometria. In pratica confronto i valori rilevati nei tre compartimenti con dei valori da me ritenuti ottimali, e con un minimo di calcolo definisco i potenziali punti di arrivo dopo un completo riequilibrio.
Si badi che non è tempo sprecato, ma utile a definire alcuni punti importanti. Il primo è far capire che a quei punti d’arrivo, seppur lentamente, ci si può arrivare. Non è un dato scontato. La maggior parte delle diete dichiara delle possibili perdite di peso in tempi brevi (per esempio 5 kg in tre settimane), ma la consuetudine è che poi, in un certo lasso di tempo, una volta smessa la dieta quel peso si riprende tutto. Un obeso che debba perdere 25 kg, insomma, potrá sforzarsi per perderne 5 o 6 ma sostanzialmente, negli anni, resterà obeso. Con la dieta Gift il principio è molto diverso. Al riequilibrio endocrino segue un graduale riposizionamento dei valori corporei di grasso, muscolo e acqua, così che nel tempo i 25 kg (magari di grasso e acqua) possano essere persi tutti, fino al completo riequilibrio e fino a far sì che l’obeso non sia più tale, possibilmente per sempre.
Se perdo 1,5 kg di grasso/mese (un’inezia, secondo molti) avrò perso i miei 25 kg in meno di un anno e mezzo. E li avrò persi per sempre. Non pare davvero una cattiva proiezione per chi riteneva di rimanere obeso una vita intera e di fatto, con i su e giù delle classiche diete ipocaloriche, ci sarebbe rimasto per sempre.
Il secondo punto riguarda invece il fatto che mentre esistono valori ideali (o meglio range ideali) per la quantità di grasso e per il livello di idratazione, per il muscolo esistono invece solo valori minimi accettabili: tutto quello che viene in più è un ottimo segno di vitalità ipotalamica e di salute. Il corpo infatti si rifiuta di produrre nuovo muscolo se si trova in stato di denutrizione, di infiammazione, di intossicazione, di malattia in genere. Il fatto che vi sia abbondanza di massa muscolare dunque spesso significa ottimo funzionamento degli assi ormonali coinvolti e alta spesa metabolica: un’ottima base di partenza per chi voglia dimagrire stabilmente con successo.
Da queste considerazioni si evince il fatto che un “peso ideale” per un individuo non esiste. Vi sarà infatti sempre uno stato di composizione corporea che possa essere migliorato aggiungendo un kg di muscolo in più. Si potrà dire: “Lei può utilmente perdere 7 kg di grasso e 2,5 litri di acqua di ritenzione”, ma sulla massa muscolare si potrà solo dire: “e dovrà mettere su almeno 3 kg di massa muscolare”. Ma se ne mettesse su 5, ancora meglio.
È quindi evidente l’immenso valore di poter quantificare separatamente le tre componenti di grasso, muscolo e acqua, per poter impostare un regime dimagrante (o irrobustente) adeguato. In assenza di una tale rilevazione, quando il paziente si presenterà al controllo con 2 kg di meno, come potremo dire se sta applicando le regole correttamente o meno? Se avesse perso 2 kg di muscolo, infatti, staremmo solo a prenderci in giro, perché il paziente non solo non sarebbe minimamente dimagrito, ma avrebbe anche allontanato un eventuale futuro dimagrimento, avendo perso capacità metabolica.
Sembra tutto ovvio e ragionevole. Ma allora perché nell’ultimo mezzo secolo non si è fatto altro che parlare di “peso” in genere (senza distinguere tra grasso, muscolo e acqua), con l’esito scontato di far sembrare efficaci i regimi ipocalorici, che tutti sappiamo invece generare perdita di peso a carico prevalentemente della massa muscolare?
 
Stimolare al cambiamento
Completata dunque la fase di spiegazione degli esiti della bioimpedenziometria, e riviste insieme le principali criticità emerse da anamnesi, controllo esami ed esame obiettivo (visita), si passa alla fase costruttiva dell’incontro. Qui, preso atto delle specifiche problematiche del paziente, cercherò di far capire a fondo i concetti di un’alimentazione di segnale per applicarli alla specifica situazione fin qui emersa, enfatizzando gli aspetti più individualmente rilevanti (ad esempio il controllo rigido degli zuccheri e delle farine raffinate nell’iperglicemico, la riduzione degli alimenti ad alto contenuto di sale negli ipertesi, il controllo dell’infiammazione da cibo in chi presenti malattie a base allergica o autoimmune).
Andrà inoltre reimpostata verso la quotidianità l’abitudine al movimento fisico, che deve essere prescritto in modo preciso sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. Abbozzare in fine visita un vago “veda di fare anche un po’ di sport” è altrettanto ridicolo che raccomandare al paziente iperteso “ah, veda di prenderà anche un po’ di antipertensivo..”. Se crediamo che il movimento sia un farmaco (e lo è senza alcun dubbio) la prescrizione è d’obbligo.
Anche da un punto di vista psicologico dovrà essere scandagliata la situazione personale del paziente. Che dovrà essere mentalmente pronto a cambiamenti importanti in pochi mesi, che non mancheranno di impattare su ogni aspetto della sua vita personale e di relazione.
Lo stimolo al cambiamento è uno dei punti forti della mia visita, e se il paziente esce poco convinto, dubbioso, non disposto a rinunciare alle sue abitudini, abbiamo già fallito prima ancora di incominciare. Ecco perché è importante, da subito, creare una relazione di dialogo e fiducia che porterà sempre a buoni risultati.
Il riequilibrio di alimentazione e stile di vita lavora sempre su più piani e mai su uno soltanto.
 

La mia visita in presenza può durare fino a due ore, se particolarmente complessa, e ha il costo di 350 euro (o 350 CHF), inclusa bioimpedenziometria. Eventuali successivi controlli, sempre con bioimpedenziometria inclusa, costano 200 euro (o 200 CHF).

È possibile anche prenotare, insieme alla visita, il questionario QuASA per le intolleranze alimentari (info su www.QuASA.it) aggiungendo 50 euro (o 50 CHF) all’importo.La fattura viene emessa dall’azienda svizzera NutriStile Sagl.

Le visite si svolgono in Svizzera a Mendrisio (Canton Ticino) e (solo alcuni giorni al mese) a Vergiate (VA). I tempi per la prenotazione sono tuttavia alquanto lunghi: si consiglia quindi, per chi avesse urgenza, la prenotazione di una visita online, i cui tempi d’attesa sono molto più brevi.

 
Per prenotare scrivere a visite@nutristile.ch